Cari amici,
ora si vede con chiarezza l’errore commesso dal governo in materia di politica economica. La scelta di non violare le regole di Maastricht per rilanciare l’economia e di avvalersi soltanto dei margini di flessibilità in esse previsti non fa uscire l’Italia dalla crisi. Bisognava osare e se lo si fosse fatto con una significativa riduzione della pressione fiscale e una seria politica di investimenti pubblici, oggi l’economia sarebbe in ripresa e non vi sarebbero neppure le sanzioni per lo sforamento dei parametri.Troppe parole, troppe critiche inutili sulla necessità di cambiare verso all’Europa ed oggi un pugno di mosche e la certezza che in prospettiva il peso del debito  pubblico aumenterà. Ora il problema è cambiare strada. Come farlo e con chi farlo. Molto cordialmente
Giorgio La Malfa

Articolo sul Mattino: “Crescita, perché l’Italia ha sprecato due anni”

La decisione di ieri della Commissione Europea di non aprire una procedura di infrazione nei confronti della Spagna e del Portogallo per violazione delle regole sul deficit pubblico è un colpo mortale per la strategia di politica economica seguita finora dal governo italiano. In questi anni si è molto discusso se si dovesse correre il rischio di una politica di ripresa basata su un maggiore deficit pubblico non concordata con l’Europa ed in apparente contrasto con essa, o se si dovesse invece rispettare comunque le regole europee che imponevano di dare la priorità
alla riduzione del deficit pubblico. Al momento della formazione del Governo Renzi, molti fra quanti seguono i temi di politica economica avevano sostenuto che per fare ripartire l’economia, l’Italia avrebbe dovuto allontanarsi dal percorso di riduzione del deficit convenuto con l’Europa. Per far riprendere i consumi e gli investimenti era indispensabile agire sia dal lato delle entrate, riducendo significativamente il carico fiscale, sia dallato delle spese recuperando la pesante riduzione degli investimenti pubblici operata in questi anni per
contenere il deficit. Era chiaro che decisioni di questo genere avrebbero fatto salire il deficit al di sopra del 3% e dunque avrebbero contravvenuto alle regole di Maastricht. Ma se rivoleva fare ripartire l’economia italiana, come il Governo dichiarava di volere, bisognava osare e rischiare. Era stato detto con chiarezza che l’alternativa a questa scelta non era una ripresa più lenta, ma pur sempre una ripresa, bensì una lunga crisi e un danno permanente alle possibilità di crescita dell’economia italiana. Se si fosse scelta una politica di stimolo alla ripresa attraverso un aumento temporaneo del deficit, ieri la Commissione Europea non avrebbe potuto fare altro che concedere a noi quello che ha concesso a Spagna e Portogallo e si appresta a concedere alla Francia. La
giustificazione è stata che i due paesi hanno fatto delle importanti riforme ed hanno un’elevata disoccupazione. Certamente le stesse motivazioni si applicherebbero all’Italia. Pur sollecitato a prendere una
strada più coraggiosa, il Governo italiano ha rifiutato l’idea di imprimere una spinta alla ripresa attraverso un aumento del deficit. Ha criticato a parole le regole di Maastricht; ha ribadito di volere imprimere una svolta positiva all’economia italiana; ha parlato e promesso imponenti tagli alle entrate fiscali e il rilancio degli investimenti pubblici, ma, avendo deciso di rispettare le regole europee, in concreto non ha fatto nulla per imboccare questa strada. Il Presidente del Consiglio ha sostenuto che si poteva far ripartire l’economia rispettando il percorso di rientro concordato con Bruxelles avvalendosi soltanto dei margini di flessibilità contenuti nelle regole europee. Ha ripetutamente dichiarato che quella flessibilità, unita alle cosiddette riforme, sarebbe stata sufficiente a fare riprendere l’economia. Ha insistito nel dire che era possibile ridurre il carico fiscale senza aumentare il deficit attraverso la spending review. Lo ha fatto con i famosi 80 euro, sorprendendosi a posteriori che essi non avessero avuto alcun effetto concreto sui consumi, nonostante sia evidente che, se con una mano metti dei soldi nelle tasche dei consumatone con l’altra glieli togli aumentando altrove il prelievo fiscale o tagliando la spesa, l’effetto complessivo non può che essere più o meno nullo. L’Europa ci ha concesso tutti i margini di flessibilità previsti dalle regole europee e richiesti dal Governo, ma l’esito di questa politica è sotto gli occhi di tutti. L’Italia ha la crescita più bassa di tutta l’eurozona. Il Fondo Monetario ha scritto ai recente che a questo ritmo recupereremo i livelli di reddito del 2007 solo alla metà degli anni ’20: avremo perso venti anni, avendo raddoppiato la disoccupazione e distrutto una parte importante della nostra capacità manifatturiera. E ieri l’Ufficio parlamentare del bilancio ha confermato che nel 2016 la crescita del reddito nazionale sarà inferiore all’1% e che anche nel 2017 la crescita sarà inferiore al previsto. L’Italia è il fanalino di coda ditutta l’eurozona. La decisione di ieri della Commissione Europea motivata con il fatto che Spagna e Portogallo hanno fatto importanti riforme ed hanno un’elevata disoccupazione è quasi una beffa per un paese che hai problemi del nostro. La conclusione, amara, è che si sono persi due anni, consumati da dichiarazioni velleitarie e in assenza di una impostazione di politica economica coerente e organica. Si apre ora il problema di come recuperare il tempo perduto.

 


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