IL SOLE 24 ORE – 24 aprile 2013
Una lunga parte della vita di lavoro di Antonio Maccanico, prima del suo diretto impegno in politica, si era svolta nelle istituzioni, prima come funzionario della Camera dei Deputati, poi come segretario generale del Quirinale durante il settennato di Sandro Pertini. Vi fu poi, nell’87 un breve intermezzo a Milano come Presidente di Mediobanca, dove Enrico Cuccia lo aveva voluto, conoscendone il prestigio negli ambienti politici, per agevolare il disegno della privatizzazione della banca e sormontare l’opposizione del Pci, di una parte della Dc e soprattutto di Romano Prodi, allora Presidente dell’Iri.
Nel 1988, quando si formò il Governo De Mita, essendo Mediobanca ormai privatizzata, inserii il nome di Maccanico fra i ministri designati dal Partito. In quel Governo egli fu Ministro per le riforme istituzionali e per gli affari regionali. Nel ’91 Maccanico fu d’accordo con la decisione di portare il Pri all’opposizione dell’ultimo Governo Andreotti e svolse un ruolo importante nel convincere una parte del Partito, che era contraria alla rottura con la DC, a seguire questa strada. Nel ’92, gli affidai il seggio senatoriale di Milano-centro lasciato da Giovanni Spadolini appena nominato da Cossiga senatore a vita.
Successivamente, Maccanico fu ministro delle Poste e ancora delle Riforme istituzionali e parlamentare del l’Ulivo fino al 2008. Nel 1996 ebbe da Luigi Scalfaro l’incarico di formare il Governo. In quell’occasione egli fece il tentativo di formare una maggioranza che comprendesse sia il centro-destra che il centro-sinistra, anticipando in fondo quello che tuttora rimane come il nodo essenziale della governabilità del Paese.
Maccanico era nato ad Avellino nel 1924 in una famiglia del ceto medio professioniale; si era laureato in giurisprudenza nel 1946 in quella che si chiama oggi la Scuola Superiore Sant’Anna. Uno dei fratelli della madre, Sinibaldo Tino, era stato un giornalista di una certa importanza prima del fascismo nel Giornale di Italia di Bergamini. Sinibaldo fu giornalista parlamentare nel dopoguerra ed elettore del Pci. Ebbe certamente un’influenza sui primi orientamenti di Maccanico il quale, all’inizio della sua vita professionale, fu iscritto al partito comunista che lasciò nel 1956, a seguito dei fatti di Ungheria, avvicinandosi progressivamente al Partito repubblicano.
Ancora più forte e significativa fu l’influenza su Maccanico di un altro fratello della madre, Adolfo Tino, un uomo di intelligenza non comune che aveva anch’egli iniziato, giovanissimo, la sua vita professionale presso il Giornale d’Italia. Quando il fascismo chiuse il quotidiano di Bergamini, Tino si avvicinò ai liberali di Giovanni Amendola, si laureò in giurisprudenza, si trasferì a Milano dove divenne un avvocato fra i più importanti di quel foro. Adolfo, un uomo di grande cultura, fu rigorosamente antifascista e fu, insieme con mio padre Ugo La Malfa, uno dei fondatori del Partito d’Azione. Dopo la Liberazione, quando nel ’46 sopravvenne la crisi del partito d’Azione, Adolfo Tino tornò alla pratica forense a Milano, per poi assumere qualche anno dopo la Presidenza di Mediobanca che tenne con grande prestigio fino alla sua morte nel 1974. Nell’affidare a Maccanico la presidenza di Mediobanca, Cuccia aveva in un certo senso voluto tributare un omaggio postumo ad Adolfo Tino.
Nel carattere e nella personalità di Antonio Maccanico si riscontravano alcuni tratti propri della migliore borghesia meridionale: un impegno rigoroso negli studi, un senso vivissimo del servizio dello Stato, una forte passione civile e politica, il senso del dramma della condizione meridionale. Come incitamento agli studi per i giovani del Mezzogiorno vi era la figura di Benedetto Croce, per il meridionalismo, fra i tanti, vi erano i nomi di Giustino Fortunato e di Francesco Saverio Nitti; la passione civile e politica veniva di Giovanni Amendola (anche lui meridionale di Sarno in Campania) e da Guido Dorso, avellinese come Maccanico. Nella vita italiana del dopoguerra, di questa tradizione civile e politica, presente pur se minoritaria, anche nel Pci, gli interpreti più fedeli furono gli azionisti prima e i Repubblicani poi. E di essa Antonio Maccanico è stato fedele continuatore.
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